Durante il nostro incontro con Francesco Risso, il direttore creativo di Marni, si sono accavallati momenti in cui abbiamo riso di gusto sul perché la gente della moda si prende così tanto sul serio e altri molto più profondi e riflessivi in cui ci siamo chiesti perché la moda oggi è così diversa e lontana da quello che tutti siamo abituati a pensare.
Parlare con Francesco è stato come quando prendi due pillole a un rave e da un momento all’altro ti ritrovi in una dimensione libera dalle etichette, rarefatta e densa nello stesso tempo, in un caos armonico, quasi musicale, nel quale le parole e i pensieri si dispiegano con una facilità rara e consegnano risposte importanti con estrema leggerezza.
Quando gli chiedo di descriversi in tre parole, mi risponde che è indubbiamente un eterno bambino, forse perché quando lo era per davvero non ha avuto tempo per godersi l’infanzia come avrebbe voluto, poi aggiunge che è studioso e spettinato.
Mentre parliamo mi rendo conto che il suo ufficio di Milano regala più di un indizio su come può funzionare la mente di un artista creativo come lui: ci sono pareti di strisce colorate spesse con una parete interamente appuntata con immagini, come fosse il moodboard della sfilata che ci sarà tra qualche giorno. Il tutto appare come un feed Instagram in 3D che puoi toccare e sentire.
Fondato a metà degli anni ’90 da Consuelo Castiglioni e suo marito Gianni, Marni è diventato famoso – e molto amato – per le sue forme non convenzionali, stampe contrastanti, scarpe brutte e gioielli d’effetto, per cui galleristi, architetti e creativi della moda hanno creato una fan base tra le più corpose che mi ricordi.
Nel 2013 il brand viene venduto al gruppo Only The Brave, di proprietà del fondatore di Diesel Renzo Rosso. Castiglioni lascerà Marni quattro anni dopo.
Risso ammette con estrema sincerità che mettersi nei panni di Castiglioni è stato scoraggiante: “All’inizio è stato un sogno che poi si è trasformato in un incubo per via dell’ansia”, dice. Francesco utilizzare l’archivio di Marni, pur riconoscendo che il tema artistico del marchio è l’ovvia connessione tra lui e il suo predecessore, questo gli basta per affermare di non essere “il copycat di Consuelo”.
Ciao Francesco, come stai?
Bene, anche se questo per me è un momento pieno di deliri e di cose molto eccitanti, sto preparando lo show di sabaro (26 febbraio NDR).
L’ultimo tuo show ha lasciato tutti a bocca aperta per via delle performance della tua community, per i vestiti della collezione, ma anche perché tu stesso hai sfilato. Tornerai in passerella?
Grazie, sono contento ti sia piaciuto. L’ultima volta c’ero anch’io in passerella non perché aspiro a fare il modello, ma perché era importante essere li con le mie persone, essere tutti connessi. Credo sia tutta una questione di connessione, nel senso che non poteva esserci qualcosa senza qualcos’altro. Bravissimo, se io fossi rimasto nel backstage non avrebbe avuto lo stesso valore “il tutti insieme”. Volevo che tutti fossero protagonisti, il pubblico stesso ha partecipato, le persone che lavorano con me da anni, i miei amici, la mia community. Eravamo tutti li.
Facciamo un passo indietro e parliamo del tuo debutto da Marni. Io mi ricordo una collezione psichedelica, che è poi uno degli ingredienti del brand, che giocava con la serietà di Consuelo Castiglioni vista dagli occhi di un bambino. Tu come te la ricordi?
Sinceramente il mio debutto me lo ricordo più come un incubo, preferisco essere sincero, non mi piace addolcire le cose. Mi ricordo che all’inizio fu davvero ansioso, pur sapendo che comunque ero entrato a far parte di un sogno molto più grande, un sogno che è ancora vivo. Quindi prima ho sognato, poi era come un incubo e poi è tornato il sogno.
Perché incubo?
Un incubo perché c’è stato veramente un forte clash tra quello che Marni era prima e quello che è stato dopo il mio arrivo, e tanti hanno reagito in svariati modi, con critiche più o meno pesanti. Ma non è questo che l’ha reso un incubo, anche perché per me le critiche sono sempre importanti.
Però entrare a far parte di una nuova famiglia, richiede tanto lavoro e quindi in questo senso è stato tutto molto complesso e complicato.
Sai, io venivo da una famiglia con cui sono stato dieci anni e dove ho imparato a parlare un certo tipo di linguaggio, (si riferisce a Prada, NDR), e da un momento all’altro mi sono ritrovato in un’altra famiglia con crismi diversi e dinamiche complesse, ma comunque da comprendere. Per questo è stata dura iniziare. Immagina un genitore che abbandona i suoi figli e subito dopo questi si ritrovano con un nuovo interlocutore, quindi con un linguaggio tutto nuovo da capire, coltivare e usare.
Che intendi dire quando dici “linguaggio”?
Il linguaggio per me è qualsiasi cosa si faccia, dalla mano che si usa al più banale dei lavori, la comunicazione richiede tempo per permettere che le cose fioriscano. Tutto è fiorito, ci sono voluti sei mesi, forse un anno di cambiamenti, esplosioni, dei fortissimi contrasti che hanno reso il travaglio molto lungo ma di cui però vado fiero e di cui sono fortemente orgoglioso.
Quando dici che il travaglio è stato lungo e intenso, intendi dire che hai dovuto anche cambiare le persone intorno a te o hai tenuto le stesse?
Io non ho mandato via nessuno, sono arrivato con l’apertura mentale di lavorare con le persone che già erano qui, poi certo qualcuno durante il percorso è andato via, forse perché non è riuscito a comprendere a pieno la metafora del linguaggio di cui ti parlavo prima. Ora, dopo cinque anni, tutti insieme abbiamo ricostruito un nuovo giardino completamente rigenerato rispetto a quello che c’era, che andava fatto fiorire, non perché io sono il copycat di Consuelo, perché non avrei mai potuto ne voluto esserlo. Vengo da una realtà lontana dalla sua, sono diversissimo da lei, abbiamo vissuto momenti e culture diverse e per quanto sia stato appassionato di Marni, non cerco di emularla, semmai cerco di appassionarmi a quello che ha fatto. Per me il lavoro è questo, capito o non capito, questo fa parte del gioco.
Ti ricordi review o cose che non avresti voluto leggere?
No, sinceramente non ho mai avuto l’opportunità, per fortuna, di leggere cose che mi hanno offeso, semmai hanno aperto la mia curiosità. Che poi sono così con le critiche ma anche con le persone con cui lavoro. Quello che continuo a sostenere è un metodo che abbia un senso circolare piuttosto che piramidale, dove io spingo le persone ad essere brutali con me. Mi piace l’onestà delle idee e l’onesta della critica nelle idee, secondo me è una cosa che fa veramente crescere e abbatte i limiti. Io cerco questa cosa, anzi forse è la cosa che cerco di più nella vita, nel lavoro e nella pratica di ciò che sono.
Come e dove ricerchi tutto ciò?
Io ho cominciato attraverso l’arte, volendo essere artista ho sempre cercato un non individualismo nella pratica e poi un lavoro sempre basato sul mettere in gioco le proprie sicurezze, e cercare di arrampicarsi su un qualcosa che non sia autoreferenziale.
Dal 2016 porti avanti e in alto la reputazione di Marni mixando eccentricità e intellettualismo, con incursioni personali. Come descriveresti la tua estetica?
Oh merda, è difficile questa. Sarò sincero, io non ho letto le tue domande anzi le ho solo guardate velocemente e mi è bastato per rendermi conto che erano interessanti, e quando succede questa cosa tendo a non auto-costruirmi le risposte per non influenzarmi fino a che non ti ho incontrato, perché mi piace molto conversare. È una domanda molto difficile perché non passo il tempo a cercare di definire cosa rappresenta me stesso, perché la mia estetica forse è un regno che naviga continuamente in evoluzione, anche con le persone con cui parlo, conosco, e che ispirano la mia estetica. Io non lo so, forse dovrei partire raccontandoti una storia, che è la storia di quando io ho cominciato ad avere a che fare con i vestiti.
Prima di iniziare questa storia, hai usato la parola “navigare” che per me si ricollega al fatto che sei nato in una barca.
Si è vero, sono nato in una barca perché mio padre a quei tempi voleva vivere su una barca e mia madre l’ha seguito. Per fortuna non mi ricordo molto perché ero molto piccolo, all’eta di 4 anni siamo arrivati sulla terra ferma e li è cominciata la mia vita con tutto il mio nucleo familiare che è molto grande. I miei genitori prima di avere me avevano altre famiglie e quindi ho tanti fratelli e sorelle e c’è stato un momento in cui vivevamo tutti insieme, comprese persone che appartenevano ad altre famiglie, nonni, nonne, parenti, tutti in questa casa grandissima.
Io ero l’ultimo, il più giovane e ho vissuto con una famiglia abbastanza challenging da gestire psicologicamente, perché erano tutti molto presenti e molto ingombranti: mio padre che ci ha costretti a vivere in barca, mia madre che era ossessionata dal suo lavoro, i miei fratelli e le lotte tra queste famiglie.
Un casino insomma.
Si un casino, dove però io ero molto silenzioso e c’è stato un momento in mezzo a queste torture familiari dove ho iniziato letteralmente ad attaccare i loro guardaroba. Li ho distrutti, li ho tagliati. Ho rubato gli abiti delle mie sorelle per distruggerli e ricrearli. Era la mia droga, era il mio modo per comunicare con loro. Il tutto è iniziato che avevo nove anni, e ancora ne parlo col mio analista.
E loro che dicevano?
Si arrabbiavano tantissimo, specie le mie sorelle. Oggi ne ridiamo, ma sono certo che mi hanno odiato.
Lo fai ancora?
Si, lo faccio ancora! Per me è impossibile che una cosa rimanga così com’è. Anche quello che faccio da Marni, io non sono in grado di mantenere un oggetto nella sua forma naturale.
È come un complesso, non so come dire. Io manipolo gli oggetti, lo faccio da quando sono piccolo.
Questo ti ha fatto capire che volevi fare vestiti?
All’inizio non avevo capito che volevo fare vestiti, tant’è che ho fatto due anni di classico, poi ho deciso che sapevo disegnare benissimo e quindi mi sono buttato nella scuola dell’arte. Poi ho guardato al mio passato e mi sono reso conto che forse ho sempre voluto fare vestiti, così a 16 anni sono scappato per andare a studiare prima a Firenze e poi a New York.
Tornando alla tua domanda sull’estetica posso dirti che o non sono necessariamente una persona che ragiona tipo: “La persona che cerco è quella ragazza che fuma sul Pont Neuf”. No!
Io sono un appassionato di ciò che succede nella società e nel mondo e quindi penso che le mie storie siano connesse con le persone che conosco, con cui interagisco e che amo, quindi in qualche modo l’estetica è una manipolazione che nasce dalle mani. Non è una manipolazione industriale ma totalmente l’opposto. Insomma, Mi viene difficile descrivere la mia estetica, preferisco siano gli altri a descriverla.
Visto che ti viene difficile definire la tua estetica mi dici come si definisce Francesco?
Oddio, Francesco è indubbiamente un eterno bambino perché bambino non lo sono mai stato, e quindi sono sempre alla ricerca di quella gioia che hanno i piccoli ed è sempre presente nella mia vita, anche come strappo un vestito o dipingo una parete, lo faccio come lo farebbe un bambino.
In questi due anni di pandemia ho capito che ciò che mi rende felice è essere uno studioso. Ho capito che la mia più grande fortuna sia la curiosità e lo studio l’alimenta. Senza la curiosità io muoio. Muoio come amante, persona, senza la curiosità sono come una pianta morta.
A proposito di piante, so che ti piacciono molto.
Oh si, sono un appassionato della natura, nonostante sia estremamente cittadino e notturno. Adoro il verde e sono ossessionato dagli animali.
Parlando di animali mi viene in mente il tuo nome di Instagram, @asliceofbambi, perché?
È un nome che mi diede il mio ex compagno perché mi identificava come Bambi, forse perché vedeva Bambi in me, nel modo più dolce di questa interazione. Io nel mio essere perverso e dark non potevo tenermi tutto Bambi e quindi l’ho tagliato e ne ho preso solo una fetta.
Beh dai anche Bambi è un po’ dark, se pensi che è stato definito un horror…
Oh si, lo leggevo qualche mese fa sul New York Times, però anche se non fosse stato così, per me lo sarebbe stato comunque perché io fuggo dalla bellezza, come fosse un repellente.
Come mai fuggi dalla bellezza?
Forse perché ne sono stato sempre circondato. Mio padre, mia madre, mia nonna, erano tutti di una bellezza incredibile, anche nella costruzione del loro essere. Mia nonna era un eclettica pazzesca e forse questa mia necessità di distacco dalla famiglia è la chiave del meccanismo in cui io penso le cose, e dunque rompere la bellezza è un modo per trovarne altra.
Sempre tramite il tuo Instagram si vede che sei sempre in giro per il mondo, a volte in compagnia di personaggi come Mikky Blanco per esempio, cosa avete in comune?
Penso che abbiamo in comune un sacco di passioni e la ricerca continua di cose. Lui oltre a cantare scrive tante poesie, scrive benissimo e quando l’ho conosciuto mi ha strabiliato questa cosa di Mikky, questo suo essere controversiale e pieno di cultura, perché quando parli con lui vedi e scopri un mondo di riferimenti infiniti. Ciò che mi piace di lui è il suo continuo mettersi in gioco in ogni cosa che fa e questo ci ispira e ci tiene collegati.
Poco fa mi dicevi di essere una persona notturna, in che senso?
Se dovessi scegliere tra il giorno e la notte scelgo il giorno, nonostante invidi tantissimo quelli che riescono a dormire. Io non ce la faccio. Scelgo il giorno ma poi mi ritrovo a vivere di notte.
Cosa fa Francesco di notte quando è a New York, a Milano o in giro per il mondo?
Ultimamente mi piacciono le case delle persone, un po’ perché di questi tempi non si poteva fare altro. Ho preso casa prima del Covid ed è diventato un posto di grande condivisione con persone incredibili e ci sono stati incontri anche dissocianti e molto creativi, dove si sono generate delle interazioni che magari tra qualche anno ricorderò come qualcosa da descrivere. Mi sono ritrovato a parlare con Michele Rizzo e poi con la mia amica Flaminia abbiamo cercato di costruire uno squalo gonfiabile da far volare in casa in mezzo ai cactus. Per me queste interazioni sono preziosissime perché sono la linfa vitale del mio essere pianta. La notte porta un sacco di idee, mentre il giorno è il momento in cui queste idee si materializzano in maniera pratica, perché la mano le fa, però a livello intellettuale la notte crea una serie d’interazione, comunicazione, interconnessione e scontri passionali che vale la pena vivere.
Accennavi poco fa che sei scappato per andare a studiare a New York, però so che sei stato a Londra alla Central Saint Martins con l’insuperabile Louise Wilson, buon anima. Che ricordi hai di quel periodo?
Si, ho preso il mio degree al FIT di New York e poi sono andato alla Saint Martins dove Louise mi odiava, (scoppiamo a ridere. NDR), infatti il mio ricordo della Saint Martin è passione e urto. Scherzi a parte, lei era un personaggio incredibile con un carattere fortissimo. Non mi sopportava perché io ho imparato l’inglese A New York studiando e dunque avendo questo vago accento americano lei non ne voleva sapere, era cattivissima su questa cosa e ogni due minuti mi ricordava per quale ragione io non dovessi parlare così. Era di una brutalità inquietante. Per assurdo ci siamo riconnessi anni dopo, tramite un mio caro amico, Nick Vinson, che ci invitò a cena e sia io che Louise scoprimmo di avere dei fidanzati neri.
Ad ogni modo la Wilson mi ha insegnato una cosa molto importante: la caccia alla creatività, che è una cosa molto difficile da insegnare ai giovani, cosa che ho ritrovato con Miuccia, anche se in modo molto diverso.
Louise mi ha insegnato anche che l’arte di non diventare autoreferenziali nella moda, perché è facile diventare designer e andare a ripescare nella pratica di quello che fanno gli altri, e questo è purtroppo la base di come viene impostato l’insegnamento moda nelle scuole oggi. Lei invece ti faceva lavorare almeno per un mese, facendoti dissociare completamente dai vestiti in tutto quello che portavi o ti era d’ispirazione o nel lavoro creativo, non potevano esserci dei collegamenti nemmeno con un bottone. Lei era una grande, una che ne sapeva. Mi ha fatto capire che è difficile studiare se non sei uno studioso e che è altrettanto difficile essere curiosi se non lo si è realmente, a me l’insegnamento è stato passato con grande intensità, per me ha un valore immenso.
Ti piacerebbe insegnare?
In realtà pensavo di no, ma ultimamente ho come questa necessità di dedicarmi all’educazione perché penso ci sia dentro qualcosa di molto bello e onesto che purtroppo il modo di vivere e di comunicare oggi ha perso. Instagram e tutto il suo commentario spietato, becero e di bassissimo livello che ci sta dietro, è simbolo di mancanza di educazione e nel momento in cui l’educazione è il fulcro anche della nostra pratica, vengono spiegate un sacco di cose che a volte rimangono dei misteri e vengono sfrontatamente distrutti, perché non si sa cosa c’è dietro la costruzione di un lavoro. Mi piace, a volte, lottare contro dei meccanismi che impoveriscono il nostro lavoro e le nostre idee. Mi interessa molto questa cosa. Oggi tutti vogliono essere designer ma nessuno vuole fare vestiti.
In che senso?
Sono stato a Napoli dove ho lavorato per la collezione FW22/23, con l’azienda Attolini, che lavora ancora come negli anni ’20. Pensa che per fare una giacca ci mettono 29 ore. Questa è una perla, una rarità che oggi ha un successo incredibile, perché ancora ci sono persone che si fanno fare un abito dal sarto. È stato come un sogno perché vedi la passione nell’atelier che è diviso in gruppi di persone più anziane, che passano la loro maestria ai più giovani. Mi ha emozionato tanto questo, perché ho visto dei giovani che fanno i modellisti, i sarti, quando la maggior parte vuole essere art director solo per la fama. Credo che le persone che studiano e che fanno questo tipo di mestiere vanno tutelate e protette. Tutto ciò si scontra con quello che ci dicono di fare e di vivere come il Metaverso.
Ti fa paura il Metaverso?
No, non mi spaventa ma so che non mi dissocerò mai dalla realtà, piuttosto quello che mi incuriosisce è come si possa portare l’umanità dentro quella realtà.
Pensi che ci sia spazio per l’umanità nel Metaverso?
Secondo me si, come non lo so, perché io stesso sto lavorando a diversi progetti con diverse persone che lavorano sulla realtà aumentata. Io sono un gamer e quindi in qualche modo mi affascina questo mondo, anche se poi sono come un paladino dell’umanità.
Potrebbe essere il titolo dell’intervista: Francesco Risso, il paladino dell’umanità.
Si, io sono il paladino dell’umanità, perché insisto e continuo con la mia grande missione che è quella di capire ed esaltare la vita delle persone con cui lavoro e con essa la loro umanità. Vedi anche il casting delle sfilate.
Spiegami:
Io non riesco a pensare ai modelli che sfilano per me, mi si spezza il cuore quando mi parlano di modelli, perché nella testa c’è questa idea di mettere dei vestiti sopra a delle persone che sono oggetti per cinque minuti e via. No, per me non esiste il lavoro in questo modo. Non esiste “The models according to Marni” esiste “Marni according to the people that worked with me”.
Anche perché a vedere le tue sfilate viene naturale chiamare i modelli, le persone di Marni.
Si, sono persone che informano tantissimo il lavoro che facciamo, non solo in passerella ma sulla loro stessa vita. Queste persone per me non sono solo degli interpreti, ma dei fautori di quello che è la nostra realtà.
Prima di arrivare a dirigere Marni hai lavorato per tanti brand poi nel 2008 hai iniziato a lavorare sul womenswear e sui progetti speciali di Prada. Cosa hai imparato dalla Signora e cosa ti aspettavi?
Miuccia Prada è stata per me come un estensione incredibile di Louise Wilson, perché con lei ho lavorato a stretto contatto per 10 anni, ho avuto una fortuna pazzesca nel trovarmi ogni giorno al suo fianco per fare qualunque cosa: dai tovaglioli per Marchesi ai vestiti. Quando parlo di quel periodo li mi viene in mente solo una parola: surfing brain!
Si passavano dei mesi a parlare del mondo e della società e di qualsiasi altra cosa concettualizzando le idee per così tanto tempo e poi i vestiti li faceva una macchina pazzesca in una settimana, ed era una magia incredibile. Allo stesso tempo si stava intorno a un tavolo che avevo soprannominato il tavolo del coraggio e delle torture, perché far surfare il cervello per mesi interi non è semplice e in questo lei è maestra. Miuccia è la regina delle idee e dell’intellettualità. La chiave di Volta nel lavoro che ho fatto con lei nel suo essere estremamente intellettuale e piena di cultura, è che lei ama vestire la gente, non l’opposto. Quindi nonostante ci fossero degli intellettualismi e tutto un lavoro sulle idee, la cultura e la creatività molto forte, valeva la pena spremersi il cervello per lei.
Ma la senti ancora?
Si, la sento ancora.
Perché nella moda la gente si prende troppo sul serio?
Sono completamente d’accordo con te, soprattutto in questo momento si vede e si sente tanto. Spero non sia questo a trapelare da me, perché se dovesse succedere, mi ammazzo e mi butto dal terzo piano.
Lo dico sempre ai miei collaboratori/amici “semmai doveste vedere che mi sta partendo l’embolo prendetemi a schiaffi”. Comunque non so, mi chiedo a volte come facciano certe persone a creare un mondo, che è anche un sogno, essendo completamente dissociati dalla realtà. Vedo che c’è una totale necessità di ego e dissociazione dalla realtà, ma il fatto è che ai giovani, alle nuove generazioni non importa un fico secco del lusso e di questo mondo finto irraggiungibile, tipo Torre D’Avorio.
È agli antipodi di ciò che succede nella società vera. Persino Coco Chanel, aveva capito che la società lavorava in un certo modo e si parlava di una società diversa, ma oggi la moda parla a tutti, non parla più solo con l’alta società. Chanel ha rotto in due il mondo e poi la società, è stata una delle poche, insieme ad altri due o tre a cui faccio la ola perché sono i miei veri eroi.
Chi sono i tuoi eroi?
La Vivienne Westwood e se ci penso anche Giorgio Armani. Personaggi che hanno stravolto le cose. Voglio dire… negli anni ’80 e ’90 la gente per strada anche se non era vestita Armani, era Armani comunque.
Loro sono stati connessi realmente con la società e la realtà, creando dei veri e propri fenomeni e movimenti. Oggi invece ci si prende troppo sul serio dimenticando che in realtà è più interessante creare un design che si possa applicare alle persone che vivono la quotidianità, piuttosto che una cosa così fatta giusto per dire che l’hai fatta.
Perché in Italia Marni non lo indossa quasi nessuno mentre in America Miley Cyrus, Golden24kt o Mikky Blanco? Scegli tu le star da vestire?
No, non le scelgo io, ma non abbiamo proprio il modo di sederci tutti e dire… questo qui deve assolutamente vestire Marni. Le persone che vestono Marni arrivano di nuovo come amici o come persone che fanno parte del lavoro che facciamo.
Vedi Ghali, è un caro amico e quindi ci sta che vesta Marni. Tutte le persone che vesto hanno un rapporto con me e insieme vogliamo costruire delle cose. 24Kgolden è una bomba, che ti piaccia o meno, vorrei vestirlo continuamente. Con Ghemon è stato molto divertente, ha una testa di un certo tipo.
Ti capita di andare nei tuoi negozi?
Si, mi piace conoscere le persone che frequentano i nostri negozi, ho fatto dei viaggi proprio con l’intento di visitare gli store per conoscere chi ci lavora e chi sceglie i nostri vestiti.
Oltre ad avere una creatività fuori dal comune ti cimenti con nuovi metodi di produzione: riciclaggio, assemblaggio, riutilizzo come se avessi scavato tra i deadstok di Marni. Che relazione hai con la sostenibilità e quanto è importante per Marni?
Per me tutto ciò è controversiale. Tu conosci una realtà in questo mondo che oggi ti dica: da domani non devi crescere del doppio di quello che stai vendendo?
No.
Beh questa cosa è molto controversa quindi non esiste la sostenibilità, anche la nostra cara Greta che va in giro con il suo cappottino giallo, fatto col petrolio, ha fatto una puttanata, perché anche lei essendo l’anima più sostenibile della terra non è riuscita ad essere al 100% sostenibile, perché la ricetta 100% sostenibile non c’è.
Ci sono tante aziende convinte che dicono di essere sostenibili in realtà non lo sono. Io da Marni sto lottando come una iena per cercare di essere sostenibile, sia nel modo in cui produciamo lo show, sia in azienda dove ho vietato la plastica. Marni è sostenibile al 50%, facciamo upcycling almeno 3-4 volte a stagione ma è un processo molto lungo e complicato ed io sto facendo il possibile per vedere e contenere meno plastica. Abbiamo tutti una responsabilità e bisogna lavorare tanto anche perchè siamo solo all’inizio di questa brutta storia.
Chi sono i tuoi designer preferiti oggi?
Io ho una grandissima ammirazione per quei brand che ancora oggi restano indipendenti: Rick Owens, Rei Kawacubo, che è la mia regina e poi vabbè.. c’era Alaia.
E invece che musica ascolti?
Io ascolto di tutto, dalla classica fino alla merda più commerciale, passando per la gabber. Suono anche il violoncello da diversi anni perché l’approccio classico mi piace molto. Sto pensando di comporre dei pezzi che vengono dal classico ma punkizzarli con gli archi. Al mio maestro, quando gliene parlo, gli vengono degli attacchi di cuore. Voglio scardinare tutto, qualsiasi cosa tocchi.
Chiudiamo con l’ultima domanda che è poi una cosa che penso e ti chiedo: Come Consuelo Castiglioni tu sei probabilmente il migliore interprete dell’idea di moda colta ma rilassata, eccentrica ma seria, misuratamente ironica che porti in passerella. Sei d’accordo?
Boh, lo lascio dire agli altri. Ti ringrazio molto per questo complimento perché hai trovato una grande connessione tra me e Consuelo, quando tanta gente perde tempo a cercare quali sono le nostre non connessioni.
Beh non ce la faccio a pensare alle non connessioni, cerco più dei punti di incontro.
Vedi, quando sono arrivato qua, all’inizio pensavo e immaginavo che la famiglia Marni fosse tutta quanta vestita di tela, Mamma, Papà, bambini.. tutti vestiti di tela con le pietre di Formentera applicate addosso ai vestiti. Questa cosa è sempre stata il mio modo di pensare a loro e al loro modo molto naïf di approcciarsi alle cose ma con grande serietà, perché guarda tu stesso cosa hanno creato.
Grazie mille Francesco per il tempo che mi hai dato
Grazie a voi e complimenti per il lavoro che state facendo in un’Italia che ha bisogno di aprire le menti.
Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni Francesco Risso Marni
foto: Simon